L’imprenditoria in versione rosa è ormai sbarcata da anni anche nel settore agricolo.

Le stime dicono che è in crescita il numero di donne che decidono di dedicarsi all’agricoltura in forma imprenditoriale.

E così un lavoro che da secoli si è associato alla fatica, al sudore, all’impegno assiduo che non ammette distrazioni si è via via sempre più allargato anche a chi per definizione (ovviamente completamente sbagliata) appartiene al “sesso debole”.

Anche se di debole le donne hanno avuto sempre ben poco, e la fatica nei campi l’hanno fatta come, e a volte di più, degli uomini, è innegabile che l’agricoltura moderna abbia sostituito molte di quelle azioni che richiedono forza fisica con mezzi tecnologici sempre più efficienti che l’hanno trasformata in “intelligente”, fino ad entrare in ambiti in cui le doti femminili si trovano particolarmente a proprio agio.

E una di queste è il riciclo.

Virtù in cui le nostre mamme si sono spesso distinte impegnandosi a non buttare ciò che può avere una seconda vita, e non solo perché nell’economia della famiglia, gestita da sempre dalle donne, è importante non sprecare niente, ma anche perché l’arte di riciclare è un po’ espressione dello spirito conservativo che alberga nel DNA femminile.

Quindi perché non cimentarsi nella generazione di biogas partendo direttamente dagli scarti dei propri raccolti?

E perché non farlo con quel piglio femminile che guarda avanti, che ha già in sé le basi di una secolare esperienza alle spalle?

Diverse sono ormai le aziende italiane al femminile che, complici anche i contributi statali, si sono dotate di impianti digestori in grado di generare sia gas che concimi solidi.

Se si uniscono le risorse stanziate per l’ecologico anche dal famoso PNRR agli incentivi tuttora previsti per l’imprenditoria femminile, il pink ed il green creano un connubio perfetto!