Il Festival di San Remo continua a far parlare di sé!

Questa volta però l’argomento di discussione non ha occupato i salotti per discettare di abiti luccicosi o performances più o meno scandalose: dalle canzonette si è finiti in Cassazione;

Oggetto della lite? La scenografia del teatro Ariston.

Sì, perché quel fiore stilizzato intitolato “the scient of the night”, che nel 2016 capeggiava sul palco del famoso teatro sanremese, era opera di un architetto che ha rivendicato il proprio diritto d’autore nei confronti della RAI, e, dopo Tribunale e Corte d’Appello, si è ritrovato davanti alla Corte di Cassazione.

In questo contesto gli Ermellini hanno ribadito in primis che l’opera dell’ingegno meritevole di protezione ai sensi della L. 633/1941 non debba necessariamente rivestire i connotati di originalità o di novità assoluta, ma molto più semplicemente di creatività.

Peraltro il concetto giuridico di creatività è riferito non all’idea in sé, ma alla forma della sua espressione, di modo tale che la sua manifestazione nel mondo esteriore rifletta la personalità del suo autore.

Quindi anche l’esternazione dell’immagine di un fiore rielaborata con l’uso di un software è diventata in questo caso meritevole di tutela grazie all’ordinanza n. 1107 del 16 gennaio 2023 della I sezione della Corte di Cassazione.

La rappresentazione grafica di quel fiore, seppur con l’uso di un computer, è stata ritenuta talmente originale ed esclusiva da essere attribuibile solo a quell’autore “umano”; dunque, nel caso che ci interessa, l’architetto è risultato vittorioso e la RAI è stata condannata al relativo risarcimento per aver usato l’immagine senza il consenso del suo ideatore.

Dalle maglie della decisione emerge però anche un altro aspetto, sollevato dalle parti in giudizio, ma non esaminato nello specifico dalla Corte per un motivo puramente processuale.

Ci si è posti infatti in quel frangente la domanda se il diritto d’autore possa essere riconosciuto anche quando l’opera è frutto di un algoritmo, come nel caso di specie.

La risposta, che a onor del vero i Giudici Supremi non hanno fornito in maniera esplicita, ammettendo palesemente quanto questo terreno sia ancora inesplorato dalla giurisprudenza, parrebbe comunque ritrovarsi nella vittoria dell’architetto, che ha potuto imprimere la propria firma sulla sua “creatura”, seppur uscita di fatto da un cervello elettronico.

Nonostante questo plateale riconoscimento, la materia si presta a letture contraddittorie.

Pertanto, in assenza di una specifica disciplina normativa, e dinanzi al vuoto giurisprudenziale che ancora inevitabilmente si riscontra intorno alla cd “arte digitale”, è difficile dare una risposta univoca a favore di una pacifica tutela autorale per tutte le opere che nascono come digitali o che comunque nel corso della loro creazione subiscono contaminazioni da programmi di intelligenza artificiale.

 Di certo, negare ogni forma di copertura giuridica contribuirebbe a scoraggiare molti “creativi”, ad evidente danno della produzione artistica e dell’intero mercato in generale; quindi urge comunque una regolamentazione ad hoc.

Nel frattempo, visto l’uso sempre più frequente della tecnologia, sia per la realizzazione stessa dell’opera che per la sua diffusione, è bene capire prima se il risultato del proprio lavoro intellettuale proveniente dal mondo virtuale possa godere di protezione quanto meno relativa ed evitare quindi che un elaborato, anche complesso, possa essere dato in pasto alla rete senza alcuna possibilità di limitarne l’uso e soprattutto di trarne i vantaggi economici legati alla paternità di quel prodotto.