Quando persino l’istruzione si è rigenerata, non senza fatica e contraddizioni, con grandi perplessità sulla funzione della cd. DAD (didattica a distanza), il mondo “giuridico” in senso ampio, dagli avvocati ai giudici, dai cancellieri agli impiegati, ancora stenta ad accettare il cambiamento: così
come i ragazzi si sono ritrovati una mattina a vedere il proprio insegnante e i propri compagni di classe in un monitor, tutti gli operatori del diritto hanno dovuto ad un certo punto accettare brutalmente l’esistenza del telematico per sopperire alle necessità di funzionamento di un mondo già
molto provato dalle sue inefficienze e definitivamente piegato dalla pandemia.

Fino ad un anno fa sembrava proprio che, a differenza di tante altre categorie professionali, in cui la trasmissione di dati via internet era già sostanzialmente invalsa da tempo, gli unici che ancora stentavano a fare il grande passo nel mondo digitale fossero gli avvocati.
Forse per chi ancora studia la storia del diritto romano (come se oggi sapere di come stipulavano i contratti gli antichi ci aiuti a comprendere i rapporti commerciali moderni…), e si appella ai brocardi per fare bella figura la modernità è veramente l’antitesi.

Ricordo lo sgomento con il quale ci comunicarono che entrava in vigore il cd “processo telematico”, una novità stravolgente per una categoria composta da generazioni eterogenee, ma per la maggior parte anagraficamente attempate: esclusi quelli della classe ’80, già avvezzi dalle medie ad usare il computer, o addirittura i “ragazzi” degli anni ’90 che hanno iniziato dalle elementari, i più hanno faticato molto a passare dalla scrittura su nastro a quella su video, figuriamoci a digerire la trasmissione di un atto al Giudice o ai difensori delle controparti senza vederne fisicamente il
percorso e le sorti.

E oggi, ai tempi dell’epidemia, dopo che i più pigri, o i più impacciati, per sopraggiunti limiti di età o ritrosie genetiche, hanno attrezzato pletore di segretarie, figli, cugini, nipoti e amici, più o meno accondiscendenti e pratici, per sopperire alle loro naturali manchevolezze informatiche pensando di aver raggiunto il traguardo, arriva finalmente l’udienza da remoto. I telefoni dei consulenti informatici sono impazziti; nella recondita speranza che l’intera macchina della giustizia potesse ripartire come prima, pur di non affrontare il mostro della videoconferenza, il panico ci ha colto ferocemente dopo la notifica della prima ordinanza che disponeva il collegamento via web, ordinandoci addirittura anche la presenza delle parti, per celebrare l’udienza.

Nessuno immaginava che così, da un giorno all’altro, senza aver fatto alcuna prova sperimentale (tanto per rompere il ghiaccio), senza aver prima tentato degli approcci o degli ammiccamenti, gli eventi ci scaraventassero di fronte alla cruda verità: in Tribunale non si può più andare, i giudici
hanno paura di infettarsi, il distanziamento sociale non è fattibile, le precauzioni non sono mai abbastanza, far muovere avvocati, parti, giudici e cancellieri è pericoloso. Perciò, visto che i mezzi ce lo consentono, ci vediamo via etere, e non usciamo di casa, e nello stesso tempo paghiamo il prezzo delle nostre avversioni a consolidare una regola che doveva essere già stata scritta da tempo nei nostri libri sacri.

Siamo tutti social, abbiamo tutti uno smartphone su cui scarichiamo le app più fantasiose, siamo tutti pronti a fare kilometriche conversazioni di gruppo nelle varie chat, abbiamo insegnato anche ai nostri nonni a fare le videochiamate per sostituire quell’abbraccio che prima del coronavirus davano ai loro nipoti insieme alla paghetta settimanale, ma appena ci hanno comunicato che nel prossimo futuro (non si sa fino a quando, forse per sempre…) i giudici terranno udienza in videoconferenza un lampo di terrore ha attraversato i nostri sguardi.

Ma forse immotivatamente; in fondo celebrare un’udienza da remoto è come fare una videochiamata con il gruppo di whatsapp.